Tuning Senza Rischi con le Preimpostazioni del Bios

Chi non è esperto ha giustamente timore di modificare le impostazioni del Bios per ottenere miglioramenti prestazionali. Il Bios infatti può modificare le funzioni di base del computer ed eventuali errori possono rendere il computer incapace di avviarsi, rendere inaccessibile una periferica o disabilitare una porta di connessione. Bios è un acronimo che sta per Basic Input Output System (Sistema di comunicazione di base) ed è una sorta di sistema operativo rudimentale che consente di attivare e disattivare componenti del computer e impostarne i parametri di funzionamento. Il Bios risiede sulla scheda madre, i cui produttori spesso non rendono facile modificarne i parametri, anzi talvolta li impostano in modo inferiore alle possibilità dell’hardware per privilegiare la stabilità del sistema. Chi desidera maggiori prestazioni senza correre grossi rischi può utilizzare la funzione di overclock automatico, offerta da molti Bios, che non richiede particolari conoscenze e può fornire un miglioramento apprezzabile delle prestazioni. La procedura per accedere al Bios varia da produttore a produttore. La maggior parte utilizza Bios realizzati dagli specialisti AMI BIOS (American Megatrends International) o Award/Phoenix. L’accesso richiede la pressione di uno o più tasti durante l’avvio del computer. Spesso, ma non sempre, i tasti da premere sono illustrati in un messaggio che appare brevemente a schermo prima del caricamento di Windows. Per esempio la pressione del tasto Canc serve solitamente per accedere ad AMI BIOS, mentre il Bios Award/Phoenix, in base alle versioni, richiede la pressione del tasto Canc o della combinazione Ctrl+Alt+Esc. Nelle versioni più vecchie questo Bios accettava anche le quattro combinazioni: Ctrl+Alt+Esc, Ctrl+Alt+S, Ctrl+Alt+Ins o Ctrl+S. I computer desktop e notebook Acer utilizzano Ctrl+Alt+Esc, oppure F1 o F2. Nei Toshiba si deve premere durante il boot il tasto Esc e talvolta anche F1. I più recenti computer Dell richiedono la pressione del tasto F2.

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Come Utilizzare File Immagine e Drive Virtuali

Il continuo scambio di dischi può essere evitato lavorando con immagini salvate sul disco fisso interno o su hard disk esterni e Nas. La maggior parte dei software di masterizzazione può creare immagini di cd, dvd e persino Blu-ray, per esempio il diffuso software Nero: avviarlo e selezionare Masterizzatore/Scegli masterizzatore, poi scegliere Image Recorder come masterizzatore virtuale. Ora copiare il disco. Quando si fa clic su Scrivi appare una finestra in cui digitare il nome del file immagine. In Nero si può anche optare tra il formato proprietario Nrg e il più diffuso Iso. Il nostro sito raccomanda di usare sempre il formato ISO, in quanto è compatibile con molti più programmi che utilizzano queste immagini come drive virtuali. Uno di essi è Daemon Tools Lite.

Oggi è raro che i dvd originali siano protetti dalla copia. Alcuni software scaricabili da internet come Alcohol 120% o AnyDVD possono rimuovere varie protezioni dalla copia, ma questo tipo di uso è illegale. Dunque se il disco originale è protetto dalla copia ci si dovrà rassegnare a inserirlo nel drive quando necessario. Fortunatamente i produttori stanno abbandonando le protezioni dalla copia, più scomode per l’utente onesto che ostacolo per i pirati, passando all’uso di protezioni software che utilizzano numeri di serie e attivazioni online. Dunque l’uso di immagini dei dischi connesse come drive virtuali diventerà sempre più comune in futuro. E sembra che la prossima versione di Windows potrà gestire direttamente le immagini Iso come fossero veri drive.

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Magneti e Cancellazione Hard Disk – Cosa Bisogna Sapere

La leggenda
Si suppone che i campi magnetici possano cancellare anche gli hard disk. Molti pensano di perdere i dati avvicinando un magnete al computer o appoggiando l’hard disk su una cassa acustica.

La verità
Un tempo i magneti provocavano la perdita dei dati archiviati sui floppy disk. Invece oggi i magneti al neodimio, utilizzati una volta per cancellare gli hard disk, non possono compromettere i dati. Alcuni magneti vengono perfino integrati nell’attuatore che controlla la testina di lettura/scrittura. Più potente è il magnete, maggiore sarà la velocità con cui la testina scriverà sul disco e minore il tempo di accesso. Per capire perché i magneti non cancellano i dati, analizziamo i dischi nel dettaglio (si veda il grafico sottostante).

Gli hard disk di ultima generazione con capacità di qualche terabyte sono formati da quattro piatti in ossido di ferro o in cobalto in grado di archiviare fino a 690 Gb di dati ciascuno. Questi dati vengono memorizzati in piccoli settori magnetizzati (bit) presenti sul disco che possono avere due valori di magnetizzazione: 0 e 1. Dal 2005 i bit vengono allineati perpendicolarmente al disco e questo sistema, chiamato perpendicular recording, scrive fino a 155 Gbit (19 Gb circa) su un centimetro quadrato.
Per leggere o scrivere questi bit, la testina di lettura/scrittura dell’hard disk “passa” sulla superficie del disco alla distanza di appena 10 nm. Nel processo di lettura la magnetizzazione dei bit produce, a causa dell’effetto quanto-meccanico Gmr, intensità differenti: 0 e 1. Nel processo di scrittura la testina lavora come un elettromagnete che, a causa della distanza ridotta, magnetizza i bit con un campo estremamente potente.

I campi magnetici dunque modificano i dati, ma perché questo non accade con le normali calamite? Perché i dischi sono magnetizzati a una potenza tale che solo i campi molto potenti, che superano i 0,5 tesla, possono modificare i bit. E poiché l’intensità del campo magnetico diminuisce con la distanza, questa si riduce in una frazione già dopo pochi millimetri. Per questo motivo i magneti al neodimio, integrati o esterni all’hard disk, sono troppo deboli per modificare i dati o cancellarli. Anche un magnete con una forza adesiva di 200 kg produce sui poli solo 0,5 tesla circa e a una distanza di un centimetro appena 0,3 tesla circa.
Tuttavia dovete prestare particolare attenzione quando avvicinate un magnete a un hard disk in funzione, poiché questo potrebbe deviare la testina di lettura/scrittura o comprimerla sul disco. In questo caso ne deriverebbero errori di scrittura o danni all’hard ­disk con la conseguente perdita dei dati.

Campi magnetici sugli hard disk: solo un campo magnetico molto potente come quello presente sulla punta della testina di lettura/scrittura può modificare i dati presenti sull’hard disk. I magneti normali in questo caso sono troppo deboli.

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Mancanza Corrente e Svuotamento RAM – Cosa Bisogna Sapere

La leggenda
La memoria Ram è una memoria volatile in cui il computer archivia i programmi in uso e i file aperti per poterli richiamare velocemente, ma se il computer si spegne, la Ram si svuota e si perdono i dati.

La verità
La Ram è formata da singole celle di memoria che rappresentano 1 bit. Ognuna di queste celle è formata da un transistor e da un condensatore che può contenere o meno una carica elettrica (valori di bit 1 o 0). Il transistor regola l’accesso alla carica ed è collegato a due linee, la linea di parola e la linea di bit. Durante i processi di scrittura e di lettura, la Cpu attiva sempre la linea di parola, mentre il transistor è aperto. Durante il processo di scrittura la Cpu trasporta le informazioni mediante la linea di bit. Nel contempo la carica del condensatore si adatta al potenziale della linea di bit che corrisponde al valore 1 o al valore 0.
Durante il processo di lettura, il condensatore condivide la sua carica con la linea di bit, aumentando o diminuendo il suo potenziale, a seconda che il condensatore sia carico o meno. La Cpu interpreta tutto come 1 o come 0 e, poiché la carica diminuisce durante il processo di lettura, segue, dopo ogni processo di lettura, un nuovo processo di scrittura che recupera il contenuto della cella (il write-back).

Un condensatore carico archivia solamente 100.000 elettroni circa su uno dei dischi del condensatore. Questa ridotta quantità di carica, a causa della dispersione della corrente, può raggiungere molto velocemente il materiale di cui è formato il chip, se si interrompe l’alimentazione elettrica. Per evitarlo, la Ram viene aggiornata (refresh) nei chip di memoria ogni 15 millisecondi, vale a dire più di mille volte al secondo. Poiché per motivi di fabbricazione alcune celle si caricano più velocemente di altre, la memoria non si svuota in millisecondi. La maggior parte dei bit resiste, a temperatura ambiente, anche fino a due secondi.

Se si raffredda il chip di memoria con uno spray di raffreddamento fino a raggiungere una temperatura di -50° Celsius, le cariche restano più a lungo nel condensatore. Con questa temperatura aumenta la resistenza nel materiale semiconduttore del chip di memoria, impendendo che la carica, a causa di dispersioni, possa svuotarsi velocemente. Nel nostro test pratico il computer si è perfino “risvegliato” dalla modalità stand-by, dopo avere rimosso un modulo di Ram Ddr raffreddato e reinserendolo dopo pochi secondi.

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Come Fare un Ping a più Indirizzi IP

Individuare gli indirizzi Ip di tutti i dispositivi connessi a una rete locale sta diventando sempre più difficile, perché la loro varietà continua a crescere: se un tempo nella Lan si trovavano soltanto computer, ora invece si sono aggiunti anche smartphone, tablet, console, televisori e set top box, o addirittura lampadine, prese elettriche, telecamere di sicurezza e altri dispositivi di ogni genere. La configurazione iniziale di questi device avviene spesso tramite un’interfaccia Web, ma per poterli raggiungere bisogna conoscerne l’indirizzo Ip.

Questo dato è recuperabile in genere attraverso l’interfaccia di gestione del router o del modem, con alcune eccezioni: se un dispositivo non richiede un indirizzo al server Dhcp, per esempio, molti modem non lo elencano tra le connessioni attive. In altri casi, invece, l’accesso all’interfaccia di gestione del router non è possibile, perché è stata impostata una password che poi è stata dimenticata (un caso piuttosto comune nelle reti casalinghe) oppure perché l’amministratore della rete locale non è presente.

Una soluzione di basso livello per individuare gli indirizzi Ip dei dispositivi connessi è interrogarli con una semplice richiesta Ping; ma per ottenere un elenco completo bisogna passare in rassegna un’intera classe di indirizzi. In ambiente Windows si può ottenere questo risultato con un paio di comandi PowerShell; scopriamo come procedere. Aprite una finestra PowerShell,
per esempio richiamando il Power User menu con la scorciatoia da tastiera Windows+X e selezionando la voce Windows PowerShell. Digitate il comando ipconfig per scoprire l’indirizzo di rete del computer su cui state lavorando; per scandire tutta la sottorete locale bisogna infatti mantenere inalterati i primi tre campi dell’indirizzo Ip e variare invece l’ultimo. Per svolgere questo compito digitate il comando seguente
1..10|ForEach-Object -process {ping -n 1 192.168.1.$_}|Select-String “TTL”

I primi due numeri (1 e 10 nell’esempio) sono l’indirizzo iniziale e finale dell’intervallo da testare; l’indirizzo 192.168.1.$_ dev’essere invece modificato nel caso in cui il comando ipconfig abbia restituito un indirizzo di rete diverso

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